19.11.2014, 07:05 RSI, Rete Due
Sulla rivoluzione digitale e la futura storia
Il concetto della «rivoluzione digitale» descrive il radicale mutamento che dalla fine del XX secolo il computer e la digitalizzazione dell’informazione hanno portato in quasi tutti gli ambiti della nostra vita. C’è chi addirittura, per analogia ai processi d’industrializzazione che 200 anni prima avevano portato alla rivoluzione industriale, parla di una «seconda modernità».
Poco importano le etichette, ciò che è innegabile è che questa rivoluzione ha radicalmente trasformato la nostra comunicazione e – per riflesso – la maniera e la materialità con la quale questa viene fissata per il momento e per il futuro. In futuro gli storici dovranno dunque confrontarsi con nuovi tipi di fonti, profondamente diverse da quelle conosciute finora e sulle quali incombono ancora seri dubbi sulla loro archiviabilità a lungo termine. È proprio su questi cruciali problemi per il futuro studio della storia che nelle due scorse settimane hanno avuto luogo due importanti manifestazioni. La prima, organizzata dalla Società svizzera di storia all’Università di Zurigo, ha analizzato lo stato delle edizioni di documenti storici nell’era digitale.
I lavori congressuali hanno toccato le relazioni tra edizioni e archivi, i diversi tipi d’accesso digitale all’informazione, la materialità virtuale delle pubblicazioni su internet e la loro interconnessione, così come le nuove possibilità che queste tecnologie offrono all’insegnamento scolastico e universitario. La seconda manifestazione si è svolta a Palazzo federale in occasione dei festeggiamenti del primo decennio di vita del Centro di coordinazione per l’archiviazione a lungo termine di documenti elettronici, un’istituzione retta dall’Archivio federale e da quasi tutti gli archivi cantonali.
Nei miei interventi ho posto l’accento sull’importanza capitale nel mantenere le edizioni di documenti storici nelle mani della libera ricerca evitando di porle sotto il controllo dello Stato dal quale nell’ultimo secolo si sono emancipate. Per l’accesso agli archivi dell’era digitale urge ora assolutamente una triplice apertura. Primo: gli archivi devono porre tutti gli strumenti per la gestione delle fonti digitali sotto licenze «open source», rendendo così accessibili e trasparenti i programmi e permettere un’analisi degli algoritmi di ricerca. Secondo: gli strumenti e le fonti devono essere accessibili secondo il principio dell’«open access», vale a dire che l’accesso alle fonti sia libero e non sia ostacolato da tasse o costi occulti. Terzo: i cataloghi, i registri, i metadati e tutti i materiali digitali devono essere resi pubblici sotto il principio dell’«open data», affinché gli utenti possano costruirsi propri strumenti per l’analisi delle fonti e non debbano dipendere da algoritmi che, come ad esempio quello di Google, non si basano su criteri scientifici ma su criteri commerciali o altre pericolose logiche.
Da questa triplice apertura dei futuri archivi digitali dipenderà, in definitiva, la libertà della ricerca storica.
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